giovedì 25 giugno 2009

scomparsi 2 mila giovani



Il governo parla di 645 arresti. Un’Ong: scomparsi 2 mila giovani
Naser, Mehdi e gli altri Il dramma dei desaparecidos
Centinaia di famiglie non sanno nulla dei propri figli

«Ti dico una cosa. Nessuno appartiene a nessun altro. Tu sei mio figlio ma non sei mio. Appartieni a questo mondo. E noi cerchiamo di vivere in questo mondo». Così Mania Akbari parla ad Amin, bambino cocciuto ma anche ferito dal divorzio dei genitori, mentre guida per le strade di Teheran nel film Dieci di Abbas Kiarostami. Amin è il suo vero figlio, oggi ha 17 anni. Alle 10 di sera del 16 giugno, giorno di protesta nelle strade della capitale, Amin non era tornato a casa dalla madre attrice, pittrice e regista. «Sono momenti che né il cinema né alcuna forma d’arte possono esprimere. L’ho cercato in ogni ambulanza, stazione di polizia e ospedale in città — ha raccontato Akbari in un’email diffusa su Internet e dal quotidiano iraniano Etemad Melli —. Mi sono trovata faccia a faccia con altri genitori che cercavano i figli e le figlie: madri che gridavano i loro nomi, padri che piangevano in silenzio. Ragazzi terrorizzati nelle stazioni di polizia in attesa del loro destino... Un incubo. Mercoledì mattina ho trovato mio figlio alla centrale di polizia di via Pasdaran. La ragione dell’arresto: portava una fascia verde per Mousavi ed era stato identificato come membro attivo alla sua campagna presidenziale. È stato rilasciato mercoledì grazie all’intervento di amici, artisti e funzionari di polizia. Amin è stato sottoposto a pestaggio e abusi emotivi».
Le autorità iraniane parlano di 645 arresti in totale. Ma secondo l’International Campaign for Human Rights in Iran (Ichri), il numero dei desaparecidos nel Paese sarebbe arrivato a 2000. Prelevati in strada, sequestrati da agenti in borghese o senza distintivo in casa, in ufficio, all’università, negli ospedali dove si erano rifugiati feriti dopo le proteste. Sono stati portati in luoghi sconosciuti, e i familiari non hanno informazioni, spiega Aaron Rhodes, portavoce dell’Ichri: «In questi casi aumentano i rischi di tortura e morte in detenzione».
Grazie alla rete di contatti in Iran, l’Ichri ha identificato i nomi di 240 arrestati: 102 politici e attivisti riformisti, 23 giornalisti, 86 studenti e professori delle università di Mazandaran, Shiraz, Ghazvin, Babol, Hamedan e Teheran. «Ma nei registri degli ospedali sono molte di più le segnalazioni di persone scomparse. Potrebbero essere morte o detenute», dice Rhodes. Oltre a Neda Agha-Soltan, sono stati identificati altri tre giovani uccisi: Naser Amirnejad, che frequentava un dottorato in studi aerospaziali, e Mostafa Ghanian, morti il 14 giugno in un attacco attribuito ai basiji all’Università di Teheran; Mehdi Karami, 17-18 anni, vicino a piazza Azadi il 15 giugno.
«Vedendo Amin in questo stato, mi vergogno — dice Akbari nell’email —. L’ho cresciuto nell’illusione che nel suo Paese natio prevalessero l’umanesimo e l’atmosfera democratica. L’ho incoraggiato a scegliere un’università iraniana anziché studiare all’estero». Raggiunta dal Corriere al telefono a Teheran, risponde di non poter dire più nulla sull’arresto del figlio.
«Molti genitori hanno paura di parlare», dice da Parigi Nooshabeh Amini, giornalista del quotidiano iraniano Rooz Online. «A volte temono di essere arrestati anche loro». Amini ha contattato al telefono il padre di un ragazzo di 25 anni scomparso: «Non sappiamo se sia vivo o morto», le ha risposto l’uomo, Akbar Sadri. «Non ci hanno detto nulla». Poi un urlo. La cornetta messa giù a forza. Pochi minuti dopo, il telefono di Amini squilla: un agente di sicurezza le chiede come abbia avuto il numero di Sadri e cosa voglia da lui. Viviana Mazza
Viviana Mazza25 giugno 2009

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